domenica 23 maggio 2010

Quando tutto sembra finito...

Si sta chiudendo una stagione, la fine di maggio porta con sé la conclusione di varie attività iniziate in autunno. E’ stato un periodo intenso, non privo di difficoltà: riuscire a conciliare i vari impegni, seguirli con costanza e applicazione, e, non ultimo, il conflitto interiore di adoperare questo tempo sottraendolo soprattutto alla famiglia.
Ed è stato grazie ad una frase di mia figlia che mi sono reso conto che questo periodo stava giungendo alla fine, quando, una sera che stavo scrivendo al computer, lei è rientrata in casa dall’allenamento di nuoto e, vedendomi, ha detto: “Babbo, e tu cosa ci fai a casa?”.
In quella domanda c’era il riassunto di vari mesi, durante i quali ho cercato di prepararmi per portare avanti un percorso che ho intrapreso alcuni anni fa, e che credo di poter far coincidere con l’inizio della scrittura. Allora mi sono reso conto di una realtà che prima non avevo preso in considerazione, la dimensione dell’altro, e da allora sto cercando di dare il mio piccolo contributo. Per alcune cose basta la buona volontà, per altre occorre la preparazione.
Sono contento di aver impiegato questo tempo per imparare qualcosa di nuovo, sperando di essere all’altezza quando occorrerà metterlo in pratica, nella realtà. Sono contento perché ho scoperto una parte di me fino ad ora sconosciuta, perché ho conosciuto molte altre persone accomunate dallo stesso spirito seppur con motivazioni diverse, perché ho visto che c’è una parte di giovani molto più attivi di quanto si possa pensare, sostenuti dalla freschezza e dal brio caratteristici di quell’età. Noi, gli adulti, prendiamo tutto più sul serio, forse perché ci sentiamo nell’obbligo di dover acchiappare un risultato positivo, perché il tempo che abbiamo a disposizione è poco ed è sottratto a quel poco che ci rimane dai molteplici impegni quotidiani.
E’ stata una bella cavalcata e, quando tutto è finito, ho potuto osservare i vari stati d’animo: la gioia incontenibile dei giovani, quella più misurata degli adulti, la tristezza di chi non ce l’ha fatta.
Spontaneamente mi è venuto di andare a parlare con uno di questi ultimi, perché, sono certo, nella stessa situazione avrei provato gli stessi sentimenti e avrei avuto la stessa tristezza negli occhi, per aver visto sfumare un obiettivo proprio sul traguardo. La vita è anche questo, a volte il nostro impegno non è sufficiente, ma non dobbiamo arrenderci e, come i bambini che cadono imparando ad andare in bicicletta, bisogna rialzarsi subito, montare in sella e ricominciare a pedalare.
Tornando a casa, ormai a tarda notte, ho rivisto mentalmente la pellicola di questi mesi: i volti nuovi, i momenti di sconforto, la stanchezza, ma anche aver riprovato, dopo tanti anni, quella sana tensione che precede i momenti importanti, la soddisfazione di riuscire ad andare avanti, in una evoluzione che ci sorprende sempre. Mi sono tornate in mente le parole di una persona che ha detto: “Ah, finalmente abbiamo finito!”
Ho capito il senso di quella frase, ma non ho potuto fare a meno di pensare che niente è stato fatto fino ad ora. La nostra vita è fatta di tappe: ne finisce una e subito ne comincia un’altra, più difficile della precedente. Bisogna continuare ad impegnarsi, consapevoli che seguiranno momenti di gioia e momenti in cui il nostro tutto non sarà mai abbastanza.

Quando tutto sembra finito, è allora che stai per cominciare.

venerdì 7 maggio 2010

Quel 7 maggio...

... la tua mano si spense nella mia.

Dedicato a te, mamma

Lo volli in fretta terminare.
Poco tempo ti restava,
tu non potevi più aspettare,
ma a te, prima fra tutti,
lo volevo raccontare.

Ti mettesti giù,
distesa sul tuo fianco
come quando ti volevi addormentare,
e ad occhi chiusi
ti accingesti ad ascoltare.

Per un’ora, forse più,
io rimasi lì a parlare:
sembravi una bambina
cui si racconta una novella
per render la notte un po’ più bella.

Per una volta io ero tuo padre,
e tu mia figlia.

Quando infine terminai,
sorridesti,
e io a te mi avvicinai.
Ignorando il tuo dolore
mi facesti un complimento
che ora porto nel mio cuore,
stella dentro il firmamento.

Adesso te ne sei andata,
dal tuo male liberata,
da quella infima prigione
ultima tua tribolazione.

E con il ricordo
di quell’ultimo sorriso
io ora prego:
vola mamma, vai!
Ti accolga il Paradiso.

7 maggio 2005

sabato 1 maggio 2010

Quanto siamo attaccati a...

Un rapidissimo cambio stagionale dell'armadio mi ha portato a riflettere sull'attaccamento che abbiamo per gli oggetti.
Io, generalmente, sono uno di quelli che non butta via niente, perché, per così dire, mi ci affeziono. Tuttavia, pensandoci attentamente, sono poche le cose che mi sono portato dal passato. Conosco persone che hanno portato con sé il più caro giocattolo dell'infanzia, donne che non riescono a staccarsi da una bambola particolare o da una collana ricevuta in regalo da qualcuno a cui sono o sono state legate in modo particolare.
A me sono venute in mente solo poche cose che "abitano in cantina", provenendo dalla casa in cui abitavo prima di metter su famiglia: vecchie foto, vecchie lettere ricevute durante il servizio militare, la stecca di quell'anno, colorate e con le firme di alcuni commilitoni, le agende che usavo a scuola (non usavo il diario), con le scritte dei compagni e delle compagne di classe. Fra tutte, una sola cosa non è mai finita in cantina e "soggiorna nel soggiorno": una foto della ragazza che è diventata mia moglie scattata durante la prima gita che abbiamo fatto da fidanzati, ritagliata e incastonata in una cornice particolare: una scatola dei Baci Perugina fatta a forma di cuore.