venerdì 29 aprile 2011

Curiosando fra i vecchi post

Mi ha incuriosito la classifica dei post più letti.
Solitamente non ci faccio caso, ma vedere quei titoli mi ha spronato ad andare a rivederli
E ormai che c'ero sono andato a curiosare anche fra alcuni di quelli più vecchi.
Però!
A parte il fatto che pensavo di averne scritti meno, ho notato le differenze fra quelli di un po' di tempo fa, inseriti agli albori del blog, e quelli che sono seguiti successivamente.
Argomentazioni, pensieri, toni, modi e altro che oggi scriverei, quasi certamente, in maniera diversa.
Ma anch'io, pensandoci, sono diverso da allora. 


mercoledì 27 aprile 2011

Quattro passi... con Ben - Quarantaduesima puntata

Le vacanze estive, soprattutto quelle dopo la quarta e la quinta, furono momenti per fare le ultime ragazzate e furono anche l’occasione per provare esperienze irripetibili a giro per l’Italia e l’Europa.
Con Luca e due suoi amici, Andrea e Filippo, ne organizzammo una in campeggio, a Pinarella di Cervia, che ben presto si rivelò un corso di sopravvivenza.
L’appuntamento era a casa di Luca, che io raggiunsi la sera prima della partenza, prevista la mattina successiva.
Ricordo le parole di mia madre quando le telefonai per dirle che ero arrivato a casa di Luca:
“Hai preso tutto?”
“Sì.”
“E i soldi?”
“Anche troppi! 150.000 lire.”
“150.000 lire?! Disgraziato, ma dove vuoi andare con quelli? Chiedili ai genitori di Luca, che poi glieli restituiamo quando torni. Mi raccomando, non andare per il mondo senza soldi!”
“Va bene, glieli chiedo.”
Ma non lo feci, e con quei soldi partii per fare due settimane di vacanza.
Arrivammo a Pinarella e ci accampammo in uno dei pochi campeggi liberi, con pochi giovani e molta gente anziana. Sistemammo le tende, l’attrezzatura e poi via di corsa in spiaggia, dove conoscemmo alcune ragazze austriache molto carine. Nonostante i problemi linguistici, fissammo di uscire una sera. Pieni di entusiasmo ci recammo al posto fissato con la speranza di trascorrere una bella serata, ma quando giungemmo, le vedemmo già in compagnia di altri ragazzi dotati di un gran macchinone. Noi, invece, avevamo soltanto le nostre scarpette da ginnastica.
La guerra era dichiarata.
Luca, colto da un raptus, corse al campeggio e tornò con il barattolo della schiuma da barba. Cominciammo a vagare per le strade del paese per rintracciare la loro auto. La trovammo e in pochi minuti fu coperta di schiuma, con su scritto: “UCCELLONE!”.
Luca, alla fine, si rilassò e concluse: “Ecco, ora sto meglio.”
I raptus di Luca non si esaurirono lì.
I soldi scarseggiavano, mangiavamo poco e male, privandoci di tutto per poter tornare a casa in treno e non con il foglio di via dei carabinieri.
Una sera eravamo tutti e quattro al campeggio, pieni di noia e molto affamati. Ci eravamo seduti di fronte allo spaccio degli alimentari, che era chiuso, considerata l’ora.
“Io vado a dormire” dissi.
Anche Andrea e Filippo andarono nella loro tenda.
Luca rimase. “Io arrivo fra poco, prima devo fare la spesa per domani.”
Sul momento non capii cosa intendeva dire.
Mi ero già appisolato quando sentii aprire la tenda. Luca, in preda all’eccitazione, cominciò a balbettare: “R-R-Roberto, guarda qua, domani si mangia!”
Io, ancora insonnolito, mi girai verso di lui e lo vidi scaricare dalla maglietta una quantità imprecisata di patate e pomodori.
“Ma che cosa hai fatto?”
“Erano lì, nelle cassette, allora ho f-f-fatto la spesa!”
“Sciagurato, tu ci fai andare tutti in galera!”
“Non ti preoccupare, non m-m-mi ha v-v-visto nes-nessuno! Do-domani frittata di patate e insalata di pomodori!”
Il giorno seguente fu sufficiente comprare alcune uova e quello divenne il pranzo migliore di tutta la vacanza.
Luca mi sorprese di nuovo un giorno che andammo a trovare un’amica a Cesenatico. All’ora di pranzo ci recammo in una rosticceria il cui bancone era un po’ sguarnito. C’erano solo dei gamberetti fritti dietro il vetro.
Ordinammo delle patate fritte che la banconiera si apprestò ad andare a preparare dietro, in cucina. Allora Luca, con rapidità impressionante, allungò il braccio, aggirando il vetro, e andando a “pescare” i gamberetti: “Buoni questi gamberetti!”
I soldi stavano finendo, così io e Luca decidemmo di ripartire con alcuni giorni di anticipo.
Preparammo tutta la nostra mercanzia ed andammo a pagare il conto.
Subito ci accorgemmo che avevano fatto un errore, a nostro favore. Luca iniziò per dire qualcosa:
“R-Roberto…”
Girandomi verso di lui, per non farmi vedere dal campeggiatore, sottovoce gli dissi:
“Zitto, che qui bisogna tornare a casa!”
Grazie a quel conto sbagliato riuscii a riportare a casa 11.000 lire.
Se il conto fosse stato giusto non avrei potuto comprare il biglietto per il ritorno.

sabato 16 aprile 2011

Quattro passi... con Ben - Quarantunesima puntata

Gli esami finali si stavano avvicinando a grandi passi.
Il periodo del ripasso era iniziato ed io facevo spesso avanti e indietro fra Pistoia e Firenze per studiare con gli altri, a casa di Giovanni, oppure dal Borzo o dall’Elena. Eravamo affiatati nello studio e quelle ore che passavamo insieme ci facevano sentire meno l’ansia per l’esame. Sì perché qualsiasi cosa se ne voglia dire, un esame è sempre importante, e per quanto si voglia tenere lontano il pensiero, l’attesa è sempre forte, soprattutto quando ci si gioca il futuro.
Il grande giorno arrivò.
La prima prova scritta fu Italiano, la seconda, il giorno seguente, per la prima volta in assoluto, fu Informatica. Fra le materie per prova orale, scelsi Italiano e Scienza delle finanze sperando che non venissero cambiate.
Per la prima ed unica volta sbagliai il tema d’Italiano.
Il membro della commissione, durante la prova orale commentò così:
“Signor Benassai, la sua prova scritta sarebbe stata da 10, solamente se il tema avesse avuto un altro titolo; non abbiamo fatto correzioni a quanto lei ha scritto, ma è andato fuori tema!”
Io già lo sapevo: il titolo si rifaceva agli scopi pacifici dell’energia nucleare, ed io mi ero soffermato troppo sugli scopi attuali di quei tempi, cioè scopi di guerra fredda. Cercai di spiegare il motivo di come fossi incappato in quell’errore e, molto tempo dopo, l’anno successivo quando andai a far visita agli insegnanti trovandomi a Firenze, seppi dalla mia professoressa di lettere che quella spiegazione era stata considerata come una polemica, una mancata accettazione di quella loro valutazione: roba da matti! Evidentemente non ero stato l’unico ad andare “fuori tema”! Comunque anche per quello fui “punito” oltre misura.
Le altre prove erano andate bene. Non avevo da temere una bocciatura nonostante il brutto voto preso nel tema, ma sapevo che sarebbe stato duro ottenere un buona valutazione finale.
Ero deluso ed il giorno dei risultati ero anche molto teso. Avevo studiato per anni con ottimi risultati ed ora che il voto contava veramente rischiavo di uscire dal mondo scolastico con un risultato bugiardo. La rabbia era enorme.
Arrivato a scuola mi venne incontro il Giuba: “Siamo passati tutti e diciannove. Siamo risultati la miglior classe di tutta la scuola. Vedessi che voti!”
Arrivai davanti al tabellone e scorrendo dall’alto cominciai a leggere i nomi cercando il mio. C’erano un sacco di 60/60, mi sembra sei, poi un sacco di 56/60 fino a 50/60. Infine, l’ultimo dei diciannove alunni: Benassai Roberto 48/60.
Ero arrivato ultimo, e nonostante tutto, con 48/60. Voti esageratamente gonfiati, compreso il mio. Gente che a fatica era stata ammessa all’esame aveva preso 54/60, addirittura 56/60. Ma come aveva fatto? Ed i risultati degli anni precedenti in che misura erano stati presi in considerazione?
Ero arrabbiatissimo, mi sentivo defraudato, soprattutto non sopportavo il fatto che tutti mi fossero passati avanti. Fu una bella botta per il mio orgoglio. Abituato ad essere fra i primi, se non il primo, mi ritrovai ultimo.
Tutti rimasero a festeggiare, io ripresi la vecchia Horizon del babbo e me ne tornai a Pistoia.
Arrivato a casa raccontai tutto quanto ai miei genitori e non ricordo chi di loro disse quelle poche parole che mi fecero prendere coscienza di una ulteriore realtà:
“Non te la prendere, 48/60 è un buon voto, non eri in gara con i tuoi compagni di classe. Dimostrerai il tuo valore quando andrai a lavorare. Il lavoro sarà il vero esame e lì, chi ha veramente imparato, lo dimostrerà.”
I giorni che seguirono non furono facili.

lunedì 11 aprile 2011

L'Ominopiccolocosì e i Motivi per andare a Teatro

C’era una volta un Ominopiccolocosì che, un giorno, ebbe l’occasione di andare a teatro. Era un’occasione speciale, anzi specialissima, tanto da fargli comunicare questo evento a tanti Volticonosciuti per condividere con loro la sua gioia.
All’ultimo momento ci fu un cambiamento nel programma: all’Ominopiccolocosì fu suggerito di non andare sabato e domenica agli spettacoli della sera, dove per sera si intende quel lasso di tempo che va dal tramonto del sole alle prime ore della notte, ma di partecipare ai due spettacoli della domenica: quello del pomeriggio, dove per pomeriggio si intende quel lasso di tempo che va dal mezzodì al tramonto del sole, e quello della sera, dove per sera, ancora una volta, si intende quel lasso di tempo che va dal tramonto del sole alle prime ore della notte.
L’Ominopiccolocosì non doveva recitare né ballare in quel teatro, ma aveva un’altra mercanzia da presentare. E fu per questo che il Teatro gli dette un tavolino piccolo, anzi piccolissimo, ed una sedia che a lui sembrò piccola, anzi piccolissima, e soltanto dopo, quando si sedette, si accorse di quanto fosse grande, anzi grandissima.
L’Ominopiccolocosì si sistemò vicino all’entrata della Platea e tirò fuori le sue cose dalla sua borsa: una serie di libri, alcuni depliant, una penna pesante, anzi pesantissima, perché non aveva trovato quella delle grandi occasioni, ed un leggio, sul quale fissò due locandine con quattro mollette di colore verde, bianco, bianco, e rosso, che formarono un tricolore piccolo, anzi piccolissimo, che nessuno notò.
I Voltisconosciuti cominciarono ad entrare, ma nessuno si accorse dell’Ominopiccolocosì dietro a quei grattacieli di libri.
Poco dopo arrivò la BravapesentatricedellaTV, alta, anzi altissima, a porgli alcune domande sulla sua mercanzia, e lui rispose, spiegando la trama, i contenuti e ogni altra informazione utile alla sua iniziativa. Ma una domanda lo mise in difficoltà, quando la BravapresentatricedellaTV chiese: “Questi due libri hanno la stessa trama?”
Allora lui, sforzandosi di gola per farsi udire, rispose quasi ironicamente: “Direi proprio di no!”
Fu allora che decise di annotare questa piccola curiosità su un foglietto di carta, scrivendo piccolo, anzi piccolissimo, affinché altri non potessero leggere quell’appunto. Pensò: “Questo sì che potrebbe essere un Motivo per andare a Teatro!” E rise dentro di sé.
Finalmente un Voltosconosciuto si avvicinò. Quella persona, forse un Gigante, domandò all’Ominopiccolocosì quello che sarebbe diventato il secondo Motivo per andare a Teatro: “Scusi, è qui se si fanno i biglietti?”
All’Ominopiccolocosì non rimase altro che indicare la scritta “Biglietteria”, grande, anzi grandissima, rimandando indietro di alcuni metri il Voltosconosciuto. Questi Motivi facevano molto ridere l’Ominopiccolocosì, tanto che decise di scriverne altri, se si fossero presentati.
E si presentarono. Tanti altri Motivi si presentarono, anche quando ormai le porte della Platea erano chiuse. Così la lista dei Motivi per andare a Teatro vide la luce e, ai primi due, altri se ne aggiunsero:
- "Mi scusi? Si rientra di qua?" chiese un Voltosconosciuto dopo essere appena uscito dalla Platea.
- Alcuni Ritardatari entrarono di corsa sventolando in alto i biglietti per mostrare all’Ominopiccolocosì che erano in regola per entrare.
- Una Signora gli chiese: “Devo uscire: ma ci vuole un timbro?”
- E un’Altra: “Quanto costa una cialda per il caffè?”
Poi l’Ominopiccolocosì avvertì lo stimolo di andare in bagno ed un altro Motivo gli andò… incontro.
Si calò dalla sedia, s’incamminò, guardò con attenzione che fosse quello degli uomini, entrò attraversando una porta grande, anzi grandissima, dietro alla quale ce n’era una ancora più grande, anzi più grandissima.
- Quest’ultima si aprì ed uscì una Donna.
All’Ominopiccolocosì non rimase altro che entrare, chiudere e ridere a crepapelle.
Di Motivi ce ne furono anche altri, ma questi furono ritenuti sufficienti come testimonianza.
Poco dopo le cose cambiarono. Qualcuno iniziò a notare l’Ominopiccolocosì e la sua mercanzia cominciò a prendere altre strade. A lui tornarono in mente alcune parole, pronunciate da una Santa Donna, che hanno a che fare con le gocce d’acqua e gli oceani, parole che molte altre volte gli erano state di conforto.
La giornata, dove per giornata si intende il lasso di tempo che va dall’apertura alla chiusura del Teatro, volse al termine in un modo inaspettatamente soddisfacente ma ancora una volta, come spesso era accaduto in passato, l’Ominopiccolocosì dovette dire grazie ai soli Voltisconosciuti.
L’Ominopiccolocosì giunse a casa che ormai era notte, dove per notte si intende l’ora di andare a letto. Salì le scale, entrò in casa con la sua borsa contenente la poca mercanzia rimasta e, dopo averla appoggiata vicino al divano, vi avviò in camera pensando: “Oddio, come farò adesso a salire sul quel letto alto, anzi altissimo!?”
Entrò in camera, accese la luce e guardò il letto: gli sembrò normale, anzi normalissimo.

giovedì 7 aprile 2011

martedì 5 aprile 2011

Quattro passi... con Ben - Quarantesima puntata

Era la vigilia di un compito di Ragioneria e rimasi a Firenze a studiare con Paolo e il Borzo.
Sapevamo che la verifica sarebbe stata con dati a scelta, partendo da un solo dato che ci sarebbe stato fornito. Noi scegliemmo quel dato e facemmo l’esercizio, simulando il compito, curando tutto con la massima attenzione.
Il giorno successivo a me e a Paolo toccò lo stesso compito, perché la professoressa alternò due esercizi in base alla fila in cui eravamo seduti. Con mia grande soddisfazione vidi che il dato iniziale era identico a quello che avevamo scelto il giorno precedente per prepararci. Con Paolo ci guardammo e stringemmo i pugni in segno di gioia, perché eravamo sicuri che avremmo preso un ottimo voto.
In classe, lui ed io, eravamo disposti in modo da formare una specie di “L”: io ero in prima fila, quasi di fronte alla cattedra, mentre lui era in seconda, a fianco della stessa, dal lato della finestra. Possibilità di copiare: zero.
Rifacemmo, per filo e per segno, la traccia dell’esercizio che avevamo fatto il giorno della preparazione.
Quando la professoressa riportò i compiti, però…
“Roberto, Paolo, sono molto delusa! Non mi sarei mai aspettata questo comportamento da parte vostra.”
Io non capivo e, guardando Paolo, vidi che anche lui non capiva quello che poteva essere successo.
“Non capisco, professoressa, che cosa è successo?” chiesi.
Il suono della sua voce cambiò e cominciò a urlare.
“I vostri compiti sono identici, è evidente che avete copiato. Vi ho messo due e a questo punto dell’anno…”
Mi arrabbiai ed alzai la voce.
“Non ho copiato nessuno. E poi guardi come siamo disposti. Le pare che possiamo copiare? Il fatto è che ha dato lo stesso compito che avevamo fatto il giorno precedente per prepararci; eccolo qui, può verificare.”
“Bene, così vuol dire che avete copiato dal quaderno! È ancora peggio. Ragazzi, devo portarvi dal preside per quello che avete fatto.”
Sentii la rabbia che mi stava assalendo, la faccia mi divenne bollente e sentii il rossore che la invadeva, il cuore cominciò ad andare a cento all’ora.
Paolo se ne stava zitto e a testa bassa, rassegnato, e non parlò mai.
Io non mi rassegnai.
“Io dal preside non ci vengo. Se ritiene di farcela, mi deve trascinare con la forza. Io non ho copiato e sono pronto a rifare il compito. Mi dia la possibilità di prepararlo come la volta scorsa, e se poi non lo rifaccio identico mi mette due, altrimenti mi chiede scusa davanti a tutti. E poi non penso che lei sia tanto stupida da non accorgersi che uno della prima fila sta copiando da sotto il banco.”
Così dicendo mi accorsi che mi ero alzato e che stavo gesticolando molto con le braccia. La classe era ammutolita e seguiva con una certa apprensione il nostro scontro. Paolo stava con la testa abbassata e non aveva il coraggio di parlare.
“Benassai, non ti scaldare tanto. Hai sbagliato ed ora andiamo dal preside.”
“Io la situazione la voglio sistemare ora, con lei. Siamo grandi e non credo che lei debba ricorrere al Preside come si fa con la mamma quando siamo bambini piccoli e facciamo a botte con qualcuno.”
“Molto spiritoso, davvero. Intanto ti prendi due…”
La interruppi violentemente urlando:
“Io due non lo prendo, io il compito l’ho fatto bene, e lei lo sa. Sono io che la porto dal preside, perché lei vuole rovinare tutto quello che ho fatto durante l’anno. Lei sa che non ho bisogno di copiare, da nessuno, per ottenere buoni risultati. I voti di sempre parlano chiaro. Vuole andare dal preside? Bene, domani mattina alle 8,30 io ci sarò, con mio padre. Voglio che ci sia anche lui a farsi due risate quando le sentirà uscire dalla bocca le bischerate che ha detto su di me questa mattina.”
Così dicendo conclusi la mia difesa. Il cuore mi batteva fortissimo, mi sentivo il viso infuocato e stavo tremando. Nessuno dei compagni di classe osò aprire bocca, nessuno si schierò, nessuno mi disse niente. Mi sarebbe bastata una pacca sulla spalla per farmi capire che non ero solo, invece niente.
Silenzio.
La professoressa, dopo aver riflettuto, con gli occhi fissi sul registro aperto, sentenziò:
“Bene, per questa volta non vi prendete due, però questo compito dovrete rifarlo.”
“Non c’è nessun problema, anche domani in presidenza” ribattei.
“No. Voglio crederti, ma.. cosa penseresti tu vedendo due compiti identici?”
“Che sono copiati. Ma lei mi conosce, professoressa, e sa che non ho bisogno di ricorrere a questi trucchi infantili, e nemmeno Paolo.” Quanto mi dispiacque pronunciare il suo nome!
“Va bene, va bene. Vi metterò sei, ma che non si ripeta!”
“Lei lo sa che vale otto” replicai.
“Benassai, accontentati e fa’ che non ci ripensi.”
Accennai un sorriso di soddisfazione, ma anche di rassegnazione per non aver ottenuto il voto che ritenevo giusto. E, visto che mi ero ritrovato inavvertitamente ancora una volta in piedi, mi rimisi a sedere. E questa volta mi tranquillizzai.
Più tardi Paolo venne da me.
“Sei una forza, ma come hai fatto?” domandò.
“Vaffanculo, stronzo!” avrei voluto rispondergli. Invece lo guardai malamente senza dirgli niente e per un po’ di tempo trovai molto difficile rivolgergli la parola.

sabato 2 aprile 2011

Teatro Bolognini di Pistoia, 9 e 10 Aprile 2011, ore 21,00

Ci sarò

Quattro passi... con Ben - Trentanovesima puntata

La quinta.
L’anno più desiderato, perché era l’ultimo, ma anche l’anno più temuto, perché c’era l’esame.
Ogni anno precedente mi aveva riservato delle novità, sotto vari aspetti.
La prima segnò l’inizio delle scuole superiori.
La seconda fu caratterizzata dal cambio di sezione, a causa dello smistamento.
La terza vide il cambiamento più radicale della mia vita, con il cambio della scuola, sita in un’altra città, e le prime difficoltà scolastiche.
La quarta mi riportò alla normalità per quanto riguarda il rendimento scolastico, e mi fece fare alcune scoperte dal punto di vista sentimentale.
Dalla quinta cosa potevo aspettarmi?
Il mio unico desiderio era quello che finisse il più rapidamente possibile.
Durante quell’anno si verificarono pochi momenti degni di essere ricordati, uno dei quali mi fece conoscere una parte di me fino ad allora sconosciuta.