venerdì 27 maggio 2011

Il sorriso della speranza

Il telefono suona. Una bambina deve essere portata all’ospedale pediatrico. Sappiamo che occorrerà quasi tutta la serata per quel viaggio. Arriviamo in quella casa e una piccola, splendida bambina, con pochi capelli biondi, si presenta ai nostri occhi. È così piccola! Poco dopo sapremo che ha poco più di un anno. L’accogliamo con un sorriso.
Prendiamo posto per partire; lei è in braccio a sua madre e, cullata dai movimenti del viaggio, si addormenterà dopo poche curve.
Dopo circa mezzora arriviamo all’ospedale, tanto imponente quanto accogliente. Scendiamo. Lei apre gli occhi, un leggero gemito, riconosce il posto e, in braccio alla madre, con la testa dritta anticipa i passi per raggiungere il reparto. Così si rivolge a sinistra se il corridoio da prendere è a sinistra, guarda a destra se quello da percorrere è sulla destra, fissa la porta giusta se è quella da aprire. Seguendo lei e sua madre raggiungiamo il reparto, il cui nome è di quelli che fanno tremare le gambe. La porta si apre e un infermiere la saluta con gioia. Lei protende le mani verso di lui, che la prende in braccio. Poi comincia a guardarsi intorno. Forse cerca qualcuno. Sì, è così.
“Sei già arrivata?”
Quella voce è della dottoressa che si sta avvicinando. Lei le fa un gran sorriso.
Adesso ci sono tutti, si può entrare.
Noi invece riprendiamo la strada per rientrare in sede. Passeranno alcuni istanti prima che si riprenda a parlare. Guardando l’orologio calcoliamo che arriveremo quando il turno sta per scadere. Poi una domanda: “Cosa facciamo quando arriviamo, stacchiamo o rendiamo l’operativo per un po’?”
Ci guardiamo in faccia, poi: “Rendiamo l’operativo.”
Nella mente ancora quel sorriso.

mercoledì 25 maggio 2011

I miei sedici bambini

Alla fine di questo piccolo ciclo ho provato a chiedere ai miei bambini: che cosa vi rimarrà di questi due anni? Alcuni sono rimasti in silenzio, qualcuno ha risposto esitando un po’ e uno di loro, invece, ha rigirato subito la domanda a me e a Cinzia.
Così sono andato agli inizi di questa avventura, ricordando il momento in cui mi fu assegnato quel gruppetto, al contrario di altri che, invece, avevano scelto. Quattordici bambini ai quali, nel giro di poche settimane, se ne aggiunsero altri due. I miei sedici bambini.
Ed io e Cinzia? Prima volta per noi.
Ho ripercorso le tappe ricordando alcuni episodi e, all’occasione, facendo esempi legati alle mie esperienze che sempre hanno attirato la loro attenzione, aggiungendo poi:
“E poi mi rimarrà una grande voglia di abbracciarvi, perché mi sono affezionato a voi e vi voglio bene!”
È stato un attimo, i bambini si sono alzati e ci siamo abbracciati tutti insieme. E lì i miei occhi si sono fatti un po’ lucidi, mentre fissavano quelli di Cinzia che accennava un sorriso silenzioso. Avrei voluto ripetere una frase che avevo detto in un’occasione precedente, quando i bambini erano un po’ ansiosi per un’altra loro prima volta: cercate di vivere le emozioni, non tentate di nasconderle, perché alcune cose ve le dimenticherete, ma le emozioni vi rimarranno.
Non ce l’ho fatta, la mia voce ha deciso di non dire niente.
La domenica è arrivata e per alcuni di loro è stato il giorno della Prima Comunione.
Tutti vestiti di bianco sembravano tanti angioletti. Noi grandi avevamo dei compiti da svolgere durante la cerimonia, ma non ho perso l’occasione di andare a scovare, fra le centinaia di persone, quei volti che vivevano in prima persona quegli attimi, perché era quello che provavo anch’io. Vedere l’emozione di un genitore che inciampa sulle parole di una preghiera, le lacrime di una madre per quel bambino che vive con lei solo alcuni giorni della settimana, quelle di un padre che, abbracciandomi, non smette di ringraziare per avergli consentito di partecipare attivamente alla cerimonia.
Si torna a casa, in attesa della domenica successiva, quando sarà la volta del secondo gruppetto.
Mi domando quali emozioni proverò, e soprattutto se ne proverò, considerato che la mia prima volta ormai è andata. In cuor mio so già la risposta, ma c’è da aspettare una settimana per verificare, per scoprire, poi, che la mia prima volta non è affatto andata.
Che cosa mi rimarrà di questi due anni? Tutto: le difficoltà, le piccole soddisfazioni, le facce, i gesti, le monellerie, i sorrisi, i bronci, la stanchezza, il caos, la compostezza durante la cerimonia, il fazzoletto prestato per asciugare una lacrima in libera uscita, il bacio ricevuto sulla guancia dal più monello di tutti, la scommessa dell’incontro fatto con bambini e genitori, i molti dubbi, le emozioni di quelle due domeniche.
E quell’abbraccio.

domenica 15 maggio 2011

Riavvolgo...

... il nastro di questa giornata,
negli occhi un sorriso, una lacrima, l'abbraccio di un padre,
in attesa del secondo tempo.

sabato 14 maggio 2011

Questa poi!

In un periodo in cui non riesco ad applicarmi alla scrittura come vorrei, 
arriva un improvviso interessamento ad un libro di qualche anno fa. 
E così...


E se fosse un segnale?

mercoledì 4 maggio 2011

Quattro passi... con Ben - Quarantaquattresima puntata

Io, Luca, il Giuba e suo fratello Guido avevamo programmato di fare un viaggio in Corsica, dopo l’esame di maturità, con una specie di camper, cioè un vecchio pulmino Volkswagen che apparteneva ai genitori del Giuba.
Per dormire in quattro in quel mezzo che, per facilità e con molta generosità, da ora in avanti chiamerò sempre “camper”, avevamo bisogno di due posti in più oltre a quelli che potevano essere ricavati all’interno. La soluzione fu una tenda montata sopra il tetto che si chiudeva a libro: all’occasione si apriva e diventava una camera per due persone.
Studiammo la vacanza nei particolari, decidendo le tappe e le soste. Inoltre era bello ritrovarsi per preparare il camper per la grande partenza.
Il traghetto partiva da Livorno con destinazione Bastia.
Dovendo passare da Pistoia per raggiungere il porto, Luca, Guido e Giovanni mi vennero a prendere a casa.
Questa volta i soldi li presi, e mia madre sicuramente li avrà ricontati prima che partissi.
Dopo tutte le raccomandazioni del caso, il camper si mosse e lasciò l’aia del Nespolo.
Iniziò così una delle più belle vacanze di sempre.
Eravamo giovani, pieni di voglia di scoprire il mondo che fino a quel momento non avevamo visto, pieni di entusiasmo e vitalità. Io, inoltre, attendevo quel momento da molto tempo, perché le mie vacanze non erano mai state un granché.
Arrivammo al porto di Livorno con leggero anticipo rispetto alla partenza e ci mettemmo in fila per salire sul traghetto. Alcune ore dopo eravamo già a Bastia.
Da lì, girando l’Isola in senso orario, toccammo tanti posti belli, panorami mozzafiato, spiagge bianche, mari incontaminati, deserti di sabbia e di rocce, montagne con laghi freddissimi, città con resti antichi, per ritornare nel giorno stabilito al porto per tornare a casa.
Andammo molto d’accordo, anche se Guido era il furbo di turno. Quando c’era da fare spariva spesso e, subito dopo, anche Luca cominciò ad imboscarsi.
Io dormivo con il Giuba nella tendina sul tetto, mentre Luca e Guido stavano all’interno. Eravamo veramente organizzati, con i nostri fornellini e tutta l’altra attrezzatura.
Una delle cose che più mi dettero fastidio era rappresentata dal loro dormire: io ero mattiniero, forse per l’abitudine di alzarmi presto che avevo preso andando a scuola a Firenze, quando ero obbligato a levatacce per prendere il treno. Loro, invece, non si alzavano mai prima delle dieci, nemmeno il caldo dava loro fastidio. Per cui ero sempre costretto ad aspettarli, per poi fare le tappe di trasferimento sotto il sole cocente.
Le due settimane finirono presto, passarono troppo in fretta.
Il mio primo viaggio all’estero da solo, senza familiari al seguito (l’anno precedente con Don Ferrero c’era anche mio fratello) era finito. Ed io ero orgoglioso di me stesso, perché avevo capito che sapevo cavarmela bene anche da solo, lontano da casa. E questa per me fu la cosa più importante.
Di lì a poco infatti nessuno mi avrebbe più “scortato”. La scuola era finita ed era l’ora di crescere, perché mi accingevo a uscire dal quel mondo ovattato per entrare nel mondo degli adulti, nel mondo del lavoro.
Ma prima mi attendeva il servizio militare.

domenica 1 maggio 2011

Quattro passi... con Ben - Quarantatreesima puntata

Nelle settimane successive, con Luca, andammo in gita con una comitiva di circa cento persone guidate da Don Ferrero, parroco di una piccola parrocchia in provincia di Pistoia.
Toccammo varie mete, fra le quali Parigi, Londra, Edimburgo, fino ad arrivare al lago di Loch Ness, toccando altre località in fase di rientro.
Ad ogni tappa le tende del nostro gruppo riempivano i campeggi.
Eravamo davvero tanti, due pullman completi. Vidi posti bellissimi, come Parigi, dove sarei ritornato molti anni dopo con mia moglie. Vidi Londra, ancor più bella per la sua indescrivibile atmosfera, con i suoi parchi verdi, i monumenti e il suo traffico infernale.
In proposito ho un ricordo: il nostro campeggio si trovava alla periferia di Londra, a Abbey Wood, se non sbaglio. Non so a quale distanza dalla capitale. Il giorno seguente al nostro arrivo eravamo già pronti per partire con i due pullman quando ci venne incontro il direttore del campeggio agitando le mani. Chi di noi parlava l’inglese, si avvicinò per capire cosa stesse dicendo ed il dialogo che seguì suonò all’incirca così (in italiano per facilità):
“Dove state andando con i pullman?”
“A Londra.”
“Ma voi siete pazzi. Nemmeno i londinesi osano andare in città con la loro auto a causa del traffico.”
“E allora che dobbiamo fare? Non possiamo mica andare a piedi?”
“A poca distanza da qui c’è una stazione del treno: andate lì ed in trenta minuti arrivate proprio nel centro di Londra.”
Accettammo il suo consiglio, che seguimmo anche nei giorni successivi.
Nonostante mi rendessi conto che stavo partecipando ad una vacanza irripetibile, non mi divertivo abbastanza e soprattutto non riuscivo, ancora una volta, a fare nuove amicizie, benché ci fossero molte occasioni favorevoli. E per questo motivo non vedevo l’ora di tornarmene a casa.
Inoltre quel montare e smontare la tenda ogni due o tre giorni stava cominciando a stancare fisicamente. Magari, se fossi riuscito a conoscere qualcuno, questa fatica non l’avrei avvertita.
Ma non andò così, e quando rimettemmo piede in Italia tirai un sospiro di sollievo.
Forse non ero maturo per un’esperienza del genere, o forse capitò nel periodo sbagliato.