domenica 21 dicembre 2014

Auguri di Buon Natale!

Un giorno di novembre del 1984 Bob Geldof, un musicista inglese di medio successo, vede in televisione un documentario sulla fame in Etiopia. Le immagini scioccanti generano una reazione immediata: sente di dover fare qualcosa di concreto per loro. Alza il telefono e coinvolge l’amico Midge Ure, leader di uno dei più famosi complessi britannici, gli Ultravox. Scrivono una semplice canzone che faccia da cassa di risonanza al messaggio di aiuti. Poi cercano di coinvolgere i loro colleghi ed in pochi giorni quaranta star del pop inglese si ritrovano in uno studio per incidere la canzone Do they know it’s Christmas?, il cui incasso andrà interamente in beneficenza (12 milioni di dischi, oltre 100 milioni di dollari). La canzone diventa un successo clamoroso, il disco più venduto di sempre in Inghilterra, e spingerà i cantanti statunitensi a tentare un’esperienza simile con la famosa We are the world. L’anno seguente sempre Bob Geldof organizzerà il più grande concerto di tutti i tempi per la stessa causa: il “Live Aid”, gesto che gli varrà la candidatura al premio Nobel per la pace. 


In questa canzone, alcune parole su tutte:

"The greatest gift they'll get this year il life"
Il miglior regalo che riceveranno quest'anno è la vita.

Ascoltando questa canzone e leggendo il suo testo, ho parlato di Natale con un gruppo di ragazzi.
Poi ci siamo scambiati gli auguri.

E così faccio con voi, amiche ed amici del Rifugio.

Buon Natale!



giovedì 18 dicembre 2014

"Un grande sogno". Accenni sulla vita di Don Paolino Contardi. Domenica 14 dicembre, verso sera.


Ma come? E’ già finito?
Sì, è già finito.
La mia mente ripercorre questi mesi di prove, passati troppo rapidamente, e se ne va all'indietro, quando questo lavoro cominciò ad essere pensato: ero appena uscito, non senza ferite, dal lavoro precedente.
Lo avevo pensato per tre protagonisti. Ma poi provai ad immaginare a come sarebbero stati gli incontri delle prove e questo pensiero già mi metteva dentro solitudine e tristezza. Allora ricavai altri ruoli per creare un gruppo e non un trio. E’ così che è nata una bella squadra, ridotta rispetto alle esperienze precedenti e rinnovata in tanti elementi.
Prova dopo prova, avvertivo sensazioni positive.
E così siamo arrivati allo spettacolo.
Certo, non senza qualche ansia. Una, ad esempio, era quella legata all'uscita del libro da presentare. Proviamo ad immaginare una presentazione di un libro che non c’è. Ma il sabato mattina è arrivato, e allora, come dissi alla persona dal quale lo ricevetti: “Noi siamo pronti, solo gli imprevisti ci possono fermare!”
Ma di imprevisti, questa volta, non ce ne sono stati.
La giornata è iniziata presto per me, con i preparativi della mattina. Poi sono andato a cantare col coro durante la Messa. Infine, chiesa messa sottosopra e via al montaggio della scenografia. Alla fine sarà bellissima, con un caminetto che in molti hanno ritenuto vero.
Con un leggero ritardo abbiamo iniziato la prova generale. Una breve pausa alla fine, giusto il tempo di cambiarmi e mettermi il “costume”, ed era già tempo di inizio.
Avevo un leggero batticuore, ma le prime note della sigla mi hanno caricato e sono entrato con la voglia di giocare. Sì, di giocare. Non avevo provato interamente la mia parte, e così ho improvvisato qualcosa, quel tanto per ben predisporre il pubblico e sdrammatizzare un po’. Il personaggio da presentare, Don Paolino Contardi, è uno di quelli che pesa, per certi versi un esempio ingombrante, anche per i suoi “colleghi”.
E il libro “Memorie” non è altro che la raccolta dei suoi tanti appunti presi durante il periodo trascorso come sacerdote a Montemurlo.
Poi è arrivato il momento della preghiera. Tutti gli attori si sono schierati in linea tenendosi per mano, il pubblico in piedi e… “Padre nostro…”. Sono riuscito a dire le prime due parole, poi ho proseguito sottovoce. Ai più, forse, è potuto sembrare il segno di inizio, ma in realtà ho abbassato la voce per non far sentire che ogni tanto… si rompeva.
E poi la sigla della rappresentazione, le immagini che l’accompagneranno per tutta la durata, le canzoni, la poesia, l’orchestra invisibile formata da tre chitarristi, gli attori, quelli che parlano e quelli che si muovono, e fra questi due magnifiche bambine alle quali sono particolarmente affezionato.
Ed io? Io sono rimasto dietro a godermi le loro gesta, aspettando il turno di dover dare voce, solo la voce, a Don Paolino. Con il copione in mano, ormai un po’ spiegazzato e consumato, alzavo ogni tanto lo sguardo all'insù per godermi le immagini e poi verso il tecnico del suono per avere la conferma che tutto stesse procedendo bene. Quando i personaggi rientravano dalla loro performance, esultavo in silenzio con strani versi da… stadio.
Eppure c’è stato un momento in cui mi sono sentito solo. Alla fine, sulla canzone finale, tutti sono rientrati sul palco. Ecco, è stato lì. Dietro ero rimasto solo io e i tecnici del suono e delle immagini, peraltro due amici. Ma i compagni di questa avventura, quelli delle serate trascorse a provare, cercando le soluzioni alle varie situazioni cambiando ove necessario, quelli che mi hanno sopportato, adesso erano tutti sul palco. Lo so, dovevo solo aspettare solamente un paio di minuti, il tempo che finisse l’ultima strofa della canzone, e poi li avrei raggiunti per presentarli sul pezzo musicale finale.
Li ho raggiunti, ma ho preferito presentarli solo a musica finita. Desideravo che l’attenzione fosse solo per loro che, insieme a tutti quelli che hanno lavorato nell'ombra, hanno reso possibile la riuscita dello spettacolo, donando il loro tempo e la loro disponibilità per far conoscere, di più, una persona che a Montemurlo ha dato tanto.
Tutto rose e fiori, dunque? No, ma questa volta ho voluto gettare all'angolo le delusioni. Gettarle via, come quel copione lanciato per aria alla fine. L’ultimo.